La prossemica ai tempi del Coronavirus

Nel 1966 Edward Hall pubblicò il libro “La dimensione nascosta” in cui, per la prima volta, propose un modello di analisi della gestione dello spazio sociale da parte dell’uomo, la prossemica.

Hall aveva osservato come la distanza relazionale tra le persone è correlata con la distanza fisica, definendo e misurando quindi quattro “zone” interpersonali:

  • La distanza intima (0-45 cm)
  • La distanza personale (45–120 cm) per l’interazione tra amici.
  • La distanza sociale (1,2-3,5 m) per la comunicazione tra conoscenti o colleghi.
  • La distanza pubblica (oltre i 3,5 m) per le pubbliche relazioni.

Naturalmente poiché a ciascun scalino corrisponde non solo un diverso posizionamento fisico (la distanza tra le due persone) ma anche psicologico, consistente nel diverso grado di intimità tra le due persone, ecco che il modo in cui noi gestiamo la prossemica è un importante strumento di comunicazione: tanto più è ampia la distanza che metto tra me e il mio interlocutore tanto minore è il grado di intimità che desidero avere con lui, e viceversa.

Inoltre la prossemica è culturale, e varia da luogo a luogo: la distanza da mantenere, interloquendo con altre persone e attraverso cui ci si sente a proprio agio, dipende dalla propria cultura: i popoli dell’Europa settentrionale e del Nord America tengono solitamente distanze maggiori di quelli mediterranei, e tollerano male il contatto fisico fra conoscenti. In Italia si possono notare alcune lievi differenze fra Nord e Sud.

Ma com’è cambiato, oggi, con l’avvento del coronavirus e dei nuovi obblighi di distanziamento sociale, il nostro approccio alla prossemica?

Le disposizioni di salute e igiene pubblica conseguenti all’epidemia di COVID 19 hanno sconvolto qualche millennio di abitudini e consuetudini sociali, obbligandoci a modificare questo linguaggio.

Pensiamo ai nostri parenti più anziani, le persone più a rischio in questa contingenza, con le quali avevamo eravamo in intimità; oggi possiamo manifestare loro il nostro affetto solo con le parole e non più con la vicinanza fisica: un abbraccio, una carezza, un bacio, che una volta erano messaggi di affetto e calore (ci servivano per comunicare all’altro “ti voglio bene”) oggi sono banditi. Anzi: nella nuova prossemica vige l’equazione vicinanza = contagio = riprovazione sociale.

La dimostrazione è il modo in cui ciascuno di noi guarda le persone che confinano con il proprio spazio in quelle occasioni in cui un certo grado di vicinanza è inevitabile: pensiamo al supermercato, ad esempio. Non appena qualcuno supera la soglia invisibile della mia bolla scatta subito un’occhiata di riprovazione (o peggio).

Le immagini strazianti delle persone ricoverate in terapia intensiva negli ospedali che potevano salutare i loro cari solo tramite una videochiamata o, se fortunati, dietro un vetro, resteranno impresse a lungo nella nostra memoria; resta da vedere se passata questa situazione eccezionale torneremo alla prossemica cui eravamo abituati o se i cambiamenti introdotti da questa emergenza si consolideranno anche in futuro.

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