Un caso di valutazione del rischio stress lavoro correlato

Quando l’attenzione alla sicurezza dei lavoratori ha dei risvolti imprevisti (ma tutt’altro che negativi)

 

stress lavoro correlato

 

Veniamo contattati dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione della filiale Italiana di una nota multinazionale del settore chimico, che ci prospetta la necessità di adempiere ad un obbligo normativo: aggiornare la valutazione del rischio stress lavoro correlato.

La valutazione precedente, redatta dallo stesso RSPP (un ingegnere dipendente dell’azienda), era oramai vecchia di quattro anni e nel frattempo parecchie cose erano cambiate: rispetto a quattro anni prima c’era stato un certo turn over, era stata attuata una modifica sostanziale dell’organizzazione del lavoro – il passaggio da un orario normale ad un’organizzazione su turni a ciclo continuo – e infine da parte della casa madre erano state adottate alcune scelte strategiche non particolarmente ben viste da parte dei lavoratori. Tutti questi erano fattori che stavano generando alcune tensioni nel personale che dovevano essere approfondite.

… sappiamo che c’è qualcosa che non va, ma non ci è chiaro quale sia la causa. Ci sono delle frizioni, delle tensioni che sono oltre il “livello di guardia”, e non sappiamo come intervenire.

 

La valutazione preliminare

Come sempre in questi casi decidiamo di procedere attenendoci alle buone prassi: le linee guida INAIL ISPESL. 

Raccogliamo quindi, in un incontro con l’RSPP e con il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, gli eventi sentinella (indice infortunistico, tasso di turn-over, assenze…), i fattori di contenuto del lavoro (ambiente e attrezzature di lavoro, pianificazione dei compiti, carico di lavoro…) e i fattori di contesto del lavoro (cultura organizzativa, evoluzione della carriera, rapporti interpersonali…) utilizzando l’apposito questionario standardizzato. 

Al termine di questo primo step non emergono particolari criticità e, se l’azienda avesse voluto limitarsi al mero rispetto della normativa, avrebbe potuto anche fermarsi qui.

Ma il mandato ricevuto era diverso:

… ci siamo rivolti a voi perché non ci interessa semplicemente “barrare una serie di crocette di una check list”: quello l’avremmo potuto fare anche da soli. Noi vogliamo realmente capire se c’è qualcosa che non va e, eventualmente, come porvi rimedio.

Conseguentemente proseguiamo nell’attività con il secondo step: la valutazione soggettiva.

Se il primo approccio – cosiddetto oggettivo – si era limitato a raccogliere “numeri, dati, fatti”,  in questo seconda fase l’obiettivo è cercare di raccogliere anche la visione dei lavoratori, approfondendo il modo in cui ciascuno vive il “tema stress” in azienda.

Per raggiungere questo obiettivo utilizziamo due diverse metodologie.

 

Il questionario

In primo luogo somministriamo a tutti i lavoratori un questionario – appositamente elaborato e validato scientificamente su un campione di oltre 35.000 lavoratori – che permette di approfondire sei diverse dimensioni dello stress lavoro correlato:

  1. La domanda: il carico, l’organizzazione, e l’ambiente di lavoro
  2. Il controllo: l’autonomia dei lavoratori relativamente alle modalità di svolgimento del proprio lavoro
  3. Il supporto: l’incoraggiamento, il supporto e le risorse fornite dall’azienda e dai colleghi
  4. Le relazioni: gli aspetti relazionali
  5. Il ruolo: la consapevolezza relativamente alla posizione ricoperta da ciascuno nell’organizzazione
  6. Il cambiamento: la percezione di essere coinvolti nei cambiamenti organizzativi

L’elaborazione dei dati evidenzia il fatto che – in realtà – la situazione non è così idilliaca come l’analisi oggettiva avrebbe lasciato intendere.

In particolare riscontriamo che la percezione di una sensazione di fatica derivante dal carico di lavoro  e dalla velocità richiesta per l’esecuzione dei compiti (la dimensione “domanda“) è comune a tutti i gruppi omogenei ma particolarmente evidente, com’è facile attendersi, nei lavoratori del reparto produzione (quelli che lavorano su turni); più inatteso invece è quanto emerge rileggendo i dati del reparto “amministrativo”, dove la situazione è critica dal punto di vista dei rapporti interpersonali: in particolare emergono risultati allarmanti sia relativamente al rapporto tra colleghi che alla dimensione delle relazioni.

 

I focus group

A questo punto decidiamo, insieme all’azienda, di effettuare un’ultimo approfondimento per cercare di capire meglio quanto emerso dal questionario. Organizziamo dei focus group (gruppi di discussione su un tema specifico, per un approfondimento vedi qui) con un campione rappresentativo di lavoratori di ogni reparto.

In tutti i gruppi, e in particolare in quello degli impiegati amministrativi, vengono confermate le tensioni emerse dai dati del questionario, ma riusciamo ad acquisire un’informazione in più: i lavoratori non si sentono ascoltati, non c’è un punto di riferimento, un ufficio, con cui relazionarsi in caso di difficoltà o problemi di varia natura. L’attenzione dell’azienda è massima per la sicurezza, per la produzione, per la qualità, ma – come spesso succede – nessuno ha pensato di occuparsi di ciò che è più importante all’interno di un’organizzazione: le persone che la compongono.

 

La conclusione

La conclusione di ogni intervento come questo è la redazione di una relazione che ha due scopi fondamentali: in primo luogo permettere all’azienda l’assolvimento degli obblighi di legge. La valutazione del rischio stress lavoro correlato è un’attività che va documentata per iscritto e la relativa relazione si deve conservare come un allegato al Documento di Valutazione dei Rischi.

In secondo luogo, oltre all’aspetto formale però c’è anche un risvolto più sostanziale: stante la situazione che abbiamo evidenziato, come intervenire?

In questo caso il  nostro suggerimento è stato quello di istituire all’interno dell’organizzazione una funzione responsabile delle risorse umane, che si occupi direttamente di tutti i tipici processi HR: l’ingresso delle persone in azienda (la selezione), la loro crescita professionale (la formazione), il loro benessere (uno sportello di ascolto), ecc.

Naturalmente un intervento di questa natura non è di competenza del Responsabile della sicurezza: la palla passa a questo punto alla Direzione Generale con cui concordiamo un piano d’azione concreto: un nostro intervento di temporary management, della durata di un anno, finalizzato da un lato ad impostare le procedure ed i processi di gestione delle risorse umane, e dall’altro a formare il futuro responsabile HR che nel frattempo sarà individuato dall’azienda.

 

to be continued…

 

 

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